Musiche di Franz Lehar
Libretto di Victor Leon e Leo Stein
Compagnia di Operette Alfafolies
Coro “Carmine Casciano”
Balletto Alfaballett
Scene e Costumi della Compagnia
Regia di Augusto Grilli
All’ambasciata del Pontevedro a Parigi, c’è grande fermento. Sta arrivando la Signora Anna Glavari,
giovane vedova del ricchissimo banchiere di corte. L’ambasciatore, il Barone Zeta, ha ricevuto l’incarico di trovare un marito pontevedrino alla vedova per conservare i milioni di dote della signora, in patria.
Infatti se la signora Glavari passasse a seconde nozze con un francese, il suo capitale lascerebbe la Banca Nazionale Pontevedrina e per il Pontevedro sarebbe la rovina. Njegus, cancelliere dell’ambasciata, è un po’ troppo pasticcione, ma c ’è il conte Danilo che potrebbe andare benissimo. Njegus e Zeta tentano di convincerlo, ma lui non ne vuole sapere. Tra Danilo e Anna c’era stata una storia d’amore finita male a causa della famiglia di Danilo. Da parte sua la vedova, pur amando Danilo, non lo vuole dimostrare e fa di tutto per farlo ingelosire. Frattanto si snoda un’altra storia d’amore che vede protagonisti Valencienne, giovane moglie di Zeta, e Camillo de Rossillon, un diplomatico francese. I due si danno convegno in un chiosco. Li sta per sorprendere il barone Zeta quando Njegus riesce a fare uscire per tempo Valencienne sostituendola con Anna. La vedova sorpresa con Camillo! Tutti sono sconvolti, Danilo furioso abbandona la festa. Tutto ormai sembra compromesso, ma Njegus, vero deus ex-machina, riesce a sciogliere gli equivoci e a far confessare ad Anna e Danilo il loro reciproco amore. La patria è salva. D’ora in poi la signora Glavari non sarà più “La vedova allegra”, ma la felice consorte del conte Danilo Danilowitch.
C’è un mondo, in cui tutti sono baroni o almeno visconti; in cui scorre lo champagne e i locali notturni sono pieni di donnine allegre, i mariti vedono solo le corna altrui, non le proprie. Un mondo in cui ci si veste in frack e si balla il valzer, la politica si fa alle feste da ballo, i bilanci statali si salvano sposando le belle ereditiere. Questa operetta, la più rappresentata fra tutte, è il simbolo del genere stesso, la punta di diamante della “silver age”, imbattuto cavallo di battaglia tra i due secoli . La “belle époque” ha rivissuto in questo ultimo palpito inebriante la sua languente agonia e ha ritrovato nella gioia di vivere delle sue note e delle sue parole l’illusione di una rinascita perenne, anche se di pura finzione.
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