Operetta » ORFEO ALL'INFERNO

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Musiche di Jacques Offenbach
Libretto di Hector-Jonathan Crémieux e Ludovic Halévy

Compagnia di Operette Alfafolies
Coro “Carmine Casciano”
Balletto Alfaballett
Scene e Costumi della Compagnia
Regia di Augusto Grilli

La trama rivisita in maniera impertinente il mito greco: Orfeo ed Euridice, ben lungi dall’essere un modello di fedeltà, non sono altro che una coppia annoiata. In particolare Euridice non sopporta più la musica che il marito, violinista di quart’ordine, continua a propinarle ed è divenuta l’amante del pastore Aristeo, il quale non è altri che Plutone travestito. Egli provoca la morte di Euridice per poterla condurre con sé nel suo regno infero. Orfeo è ben felice di essersi liberato di lei, ma a quel punto interviene un originale deus ex machina: l’Opinione pubblica che, in nome di sacri principi, lo costringe invece a chiedere a Giove il permesso di scendere nell’Ade per riprendersi la moglie. La scena si sposta dunque nel regno di Plutone dove Euridice, trascurata, si annoia. Intanto Giove, trasformatosi in mosca, entra nella stanza di Euridice dal buco della serratura, e riesce a sedurla. Euridice innalza un inno a Bacco, e Giove balla un minuetto che si trasforma a mano a mano in una danza sfrenata, il famoso cancan. I due approfitterebbero della confusione per scappare, ma giunge Orfeo. Giove, minacciato dall’Opinione pubblica, non può che acconsentire al rilascio di Euridice, ma impone a Orfeo la condizione riportata dal mito: nel viaggio di ritorno non dovrà mai voltarsi a guardarla. Orfeo accetta a malincuore e sta per portare a termine la sua impresa, quando Giove gli scaglia contro un fulmine che lo costringe a voltarsi. L’Opinione pubblica è giocata ed Euridice, trasformata in baccante, intona le note del famoso galop infernale.

Nella scelta del soggetto Offenbach si era forse ispirato alla tradizione della sua città nativa, Colonia, dove ogni anno per carnevale venivano messe in scena delle parodie, spesso di argomento mitologico. Oltre che una satira dell’antichità, Orfeo è una satira dell’opera settecentesca. Per Offenbach la classicità è un residuo del XVIII secolo, come dimostrano il minuetto danzato da Giove e la scrittura vocale per Euridice. Il punto di riferimento della parodia è ovviamente Gluck: la celeberrima "Che farò senza Euridice" è citata per ben due volte. Dapprima accennata quando Orfeo, istigato dall’Opinione pubblica, si presenta a Giove per chiedere l’autorizzazione a scendere agli inferi, e poi integralmente nella scena del suo arrivo all’inferno. Anche il “duo della mosca” è una garbata presa in giro delle convenzioni dell’opera, con Giove ed Euridice che cantano solo «Zi» su un’appassionata musica da duetto d’amore in piena regola. Come nel caso della Belle Hélène , però, a essere messa in burletta è soprattutto la società parigina del secondo Impero, come dimostra la geniale invenzione del personaggio dell’Opinione pubblica quale nuovo deus ex machina. Giove, perennemente assetato di avventure erotiche, è un ritratto dell’imperatore Luigi Napoleone, e il coro delle divinità, pronte prima a rivoltarsi contro il nettare e l’ambrosia, e poi a ritornare sui propri passi solo per la promessa di un viaggio all’inferno, è immagine di quella società pronta a dimenticare tutto per i divertimenti. Il brano più famoso di Offenbach, il galop infernal, rispecchia proprio questa scandalosa joie de vivre.
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